Ruggero Jacobbi
Glossario online
Schede contestuate
Ruggero Jacobbi “La terza volta [che a Camilleri capita di sentire la parola musione] fu in occasione di un libretto di versi che Ruggero Jacobbi mi fece leggere. Autore ne era un siculo-americano. Ne ricordo una quartina, una poesia d’amore:
Tengo uno storo abbascio città(Ho un negozio nel sud della città dove, se vuoi, puoi telefonarmi, qui tutto è pace e tranquillità, nemmeno il vento si muove…). Versi che mi parvero, e mi paiono, bellissimi” GM 1995, 74. “Dedico questo romanzo a Ruggero, a Dante, a Ninì: la loro mancanza mi pesa ogni giorno che passa” CTL 1998, 9 “Ma Orazio Costa, come diceva intelligentemente anni dopo Ruggero Jacobbi, era un Cristo-maoista” TD 2000, 56; “«Il corso delle cose», che è parte di una frase del filosofo francese Merleau-Ponty che dice: «Il corso delle cose è sinuoso». Ruggero Jacobbi, un grande critico che lesse quel libro tra i primi, ci ritrovò «certa realtà siciliana che abbiamo imparato a conoscere, da Capuana a Pirandello, da Brancati a Sciascia», che «sembra sfuggire tra le mani dell’osservatore, tutta intessuta com’è di moventi umani elementari ma oscuri, di gesti cerimoniali che alludono a una seconda natura, a un’ipotesi dell’uomo non misurabile secondo i parametri della logica»” TD 2000, 63; “questo libro ebbe un esito assai diverso. Perché appena finito di scriverlo lo diedi al mio grande amico Ruggero Jacobbi, il quale lo prese e lo portò a Milano a Gina Lagorio. Gina Lagorio lo diede al suo compagno, non ancora marito, Livio Garzanti, il quale me lo pubblicò immediatamente” TD 2000, 66. “Ruggero Jacobbi, allora direttore dell’Accademia, e Orazio Costa si parlarono. E Ruggero mi chiamò per dirmi: «Orazio vuole che tu prenda il suo posto di insegnante all’Accademia». Nel 1974 cominciai a insegnare regia” LP 2002, 218; “Feci leggere questo mio secondo libro a Ruggero Jacobbi, che stimavo molto e che mi era fraternamente amico, prima che un importante critico di teatro, di narrativa e di poesia. Alla lettura si entusiasmò, e disse: «Questo libro non deve fare la fine del primo» Se lo mise sottobraccio e se lo portò a Milano” LP 2002, 233-234. “Qualche volta tirava fuori dalla tasca un foglietto e mi leggeva dei versi che aveva appena scritto. E così io venivo ammesso, venivo privilegiato a viaggiare nelle regioni a un tempo più misteriose e più scoperte della sua poesia” In viaggio con Ruggero, in A. Dolfi (a cura di) L’eclettico Jacobbi. Percorsi multipli tra letteratura e teatro (Atti della giornata di studio Firenze, 14 gennaio 2002), Roma, Bulzoni, 2003, p. 18; “Quando Ruggero si ammalò gravemente, io non potei andarlo a trovare come volevo, ero impegnato a Torino con la televisione. Ma riuscii a tornare a Roma per un fine settimana e mi recai a casa sua. Era smagrito, stava seduto su una poltrona con un plaid sulle gambe. Mi accolse con l’allegria di sempre, anche se era un’allegria venata da un filo di sottile malinconia. E mi fece fare l’ultimo viaggio. Mi raccontò che qualche giorno avanti, non si sa come, uno strano uccello era entrato in casa, aveva girettato un poco e poi se ne era rivolato via. «Sarà stato un rondone sperso» – dissi. Sorrise, scosse la testa. «No, l’ho riconosciuto». Sbalordii. «L’hai riconosciuto? Che era?» E mi trascinò, di colpo, nell’intrico della foresta amazzonica. Mi raccontò di una credenza diffusa in alcune tribù secondo la quale c’è uno speciale uccello, me ne disse anche il nome che ho dimenticato, che si reca a far visita alle persone alle quali resta poco tempo da vivere. È una specie di uccello regale, messaggero di morte, che viene trattato con sommo rispetto. «Perché» – mi spiegò Ruggero – «non tutti sono degni della sua presenza. Visita solo coloro che ritiene eletti». E non riuscì a nascondere, mentre me lo diceva, un accento d’orgoglio” ivi, pp. 18-19. “Allora se tu lo [Jacobbi] senti parlare così, dici: «Che parlatore è quest’uomo!»; ma lui sapeva parlare perché sotto c’era la conoscenza. Aveva due doti: questa conoscenza straordinaria della cultura, non solo contemporanea (citava d’Annunzio, Carducci, Leopardi, non solo Gatto e Luzi; e quello che andava a riscontrare era vero), e poi la memoria strepitosa di ciò che aveva letto, e la capacità rarissima di connettere diversi elementi, come fa un computer, e darti una scheda limpida, elegante, chiara” Appunti su Ruggero, in B. Sica (a cura di), Ruggero Jacobbi e la Francia: poesie e traduzioni, Società editrice fiorentina, 2004, p. 18. “Non a caso Aldo Vergano o altri, quando si trovavano a chiamare non attori, preferivano lavorare con intellettuali come Alfonso Gatto e Ruggero Jacobbi oppure con dei colleghi, come Lizzani, nel ruolo d’interpreti” Il mio amico cinema, “MicroMega” 6/2011 (poi ripubblicato in TCMM 2019, 258). “Un giorno Ruggero Jacobbi, scherzando, mi disse di non fidarmi mai delle persone che univano con un trattino il loro doppio cognome. «Perché?». «Perché tentano d’affrancarsi, col trattino, dalla loro doppiezza». Io lo presi, letterariamente s’intende, sul serio. E oltretutto, si ricorda la questione del marxismo-leninismo con o senza trattino? C’è da diffidare dei trattini” TC 2012, 121. “Questa del “materialista” è una storia davvero divertente. Molti anni fa mi trovavo a Roma, alla stazione Termini, quando dall’altoparlante venne annunciato: «D’urgenza un materialista al binario otto!» Essendo io un materialista storico mi precipitai subito al binario in questione e lì incontrai il mio amico Ruggero Jacobbi, grande critico anche lui materialista, e ci facemmo una sonora risata” BCV 2012, 26. “Io e Ruggero non abbiamo mai lavorato insieme alla radio. Negli anni in cui io ero alla radio, al Terzo Programma, Ruggero era a Milano, al «Piccolo». Dopo, quando io sono passato in televisione, Ruggero è venuto a Roma. Noi ci siamo ritrovati in Accademia quando lui era già direttore. Capitò che io, per un anno, sostituii Costa, che era l’insegnante di regia.. L’anno seguente Costa se ne andò, e Ruggero mi offrì la cattedra di regia all’Accademia dove sono stato diciassette anni. Me la offrì d’accordo con Costa, che era stato il mio insegnante. I ragazzi dell’Accademia contestavano ad Orazio la rigidità, non l’insegnamento di Orazio. Quando Orazio se ne andò, l’Accademia venne occupata. Fu occupata anche dagli insegnanti. La protesta non era contro gli insegnanti, era contro il governo. I ragazzi fecero un programma di persone esterne all’Accademia che venissero a tenere almeno una lezione. La prima la venne a tenere Dario Fo, al teatrino di via Vittoria. Eravamo tutti presenti, io, Jacobbi, gli altri insegnanti. Dario Fo chiese ai ragazzi: «Che cosa avete fatto di bello in questi ultimi due-tre anni?» La risposta di uno fu: «Abbiamo cacciato Orazio Costa». E Fo: «Bravi imbecilli»” Il teatro, la televisione e Ruggero, in F. Bartolini, C. Bellini, Ruggero Jacobbi. Teatro e Mass Media negli anni Sessanta e Settanta, Roma, Bulzoni, 2012, p. 16; “Ruggero credeva nei giovani. All’Accademia i ragazzi erano turbolenti, ma lui lo stavano ad ascoltare” ivi, p. 17; “Con Ruggero passavamo sempre momenti splendidi, in allegria. Era una persona ironica e divertente. Una volta venne in campagna da me in Toscana. Si mise a fare i tarocchi alle figlie adolescenti. Si inventò tutto di sana pianta, naturalmente. Quelle uscirono stravolte perché aveva indovinato, a caso” ivi, p. 18. “Lui [Orazio Costa] era credente, era, come lo definì brillantemente Ruggero Jacobbi, un Cristo-Maoista” RN 2013, 63. “Non a caso Aldo Vergano o altri, quando si trovavano a chiamare non attori, preferivano lavorare con intellettuali come Alfonso Gatto e Ruggero Jacobbi oppure con dei colleghi, come Lizzani, nel ruolo d’interpreti” CLP 2013, 32; “Ruggero Jacobbi acutamente notò che Pizzuto, all’epoca di Signorina Rosina, era assolutamente incapace di dire «io»” CLP 2013, 266. “Spesso facevo il gioco di stravolgere completamente il significato di una parola e dargliene un altro. Un giorno eravamo a Rio de Janeiro per uno spettacolo teatrale da me diretto e salimmo al Corcovado. Arrivati lassù, io mi misi a urlare che c’erano troppi chiasmi. Un ragazzo, mio allievo, che era accanto a me e mi faceva da spalla, disse che erano dei chiasmi aggressivi che bisognava assolutamente evitare. La cosa provocò, naturalmente, il panico tra due o tre ragazze che erano presenti. Lo stesso gioco lo facevo con Ruggero Jacobbi e altri amici.” LBDD 2014, 93. “Ruggero Jacobbi, direttore dell’Accademia nazionale d’arte drammatica, inscenò una bella edizione di Tutti contro tutti” CM 2015, 71. “Dall’Italia arrivò un folto gruppo di artisti tra cui Ruggero Jacobbi, Flaminio Bollini detto Flem, Luciano Salce, Adolfo Celi e alcuni altri” EM 2017, 201. “I professori non solo non furono cacciati via ma invitati dagli allievi a occupare con loro la scuola e così, con il direttore di allora in testa, Ruggero Jacobbi, ci trovammo a dormire tra i banchi della scuola negli immancabili sacchi a pelo” DTLM 2018, 60; “A più di dieci anni di distanza dal primo scrissi Un filo di fumo. Questa volta, tuttavia, il mio amico Ruggero Jacobbi mi disse: “Non voglio che questo romanzo abbia la stessa sorte del primo.” Se lo mise sotto braccio e se ne partì per Milano. Diede il dattiloscritto a una brava scrittrice che in seguito divenne una mia grande amica, Gina Lagorio, moglie dell’editore Livio Garzanti. Dopo una decina di giorni ricevetti un’inattesa telefonata da Garzanti, il quale mi comunicava che il mio libro gli era piaciuto assai e che l’avrebbe pubblicato prestissimo con la sua prestigiosa casa editrice” DTLM 2018, 69-70. “I docenti però non reagirono tutti allo stesso modo, perché almeno due o tre professori in Accademia occuparono insieme agli studenti, compreso il direttore Ruggero Jacobbi e Angelo Corti, e una notte dormii lì anch’io. Orazio Costa, invece, non se l’era affatto presa per esser stato cacciato, ma gli studenti non avevano capito con chi avevano a che fare, perché Orazio era più a sinistra di loro. Ruggero Jacobbi lo definiva acutamente cristomaoista” Del Sessantotto e altre eresie, in “MicroMega” 1/2018 (poi ripubblicato in TCMM 2019, p. 279); “Con mia somma sorpresa fui chiamato da Ruggero Jacobbi, il quale mi annunciò che Orazio aveva designato me come suo successore. Io rimasi veramente sorpreso” ivi, p. 280; “E così scrissi Un filo di fumo. Lo feci leggere al mio amico Ruggero Jacobbi, che pigliò il dattiloscritto e lo portò a Milano a Garzanti. Dopo una settimana ricevetti una telefonata da Garzanti che mi diceva che lo avrebbero pubblicato. E questo è il mio esordio da scrittore” Camilleri sono, in “MicroMega” 5/2018 (poi ripubblicato in TCMM 2019, pp. 297-298) (g.m. luglio 2021).
dove se vuoi farmi fone
qui tutto è pace e tranquillità
nemmanco il vento ci fa musione…