annacari

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annacari (annacato, annaca, annacò, annachiamo, annachiamolo, annacava) (cullare, dondolare; illudere, prendere in giro) (a. da quel fitto discorrere) [“anche di un uomo che ha pose e atteggiamenti raffinati, si dice che si «annaca». C’è anche un’altra espressione: «va ad annacariti a ’o Cassaro»; il Cassaro era una piazza di Palermo dove la nobiltà faceva sfoggio di vestiti e di carrozze all’ultima moda. E ha ancora un altro significato: per esempio, un elettore va a chiedere un favore al suo deputato e quello gli dice «non ti preoccupare, provvederò»; l’elettore può rispondere «mi dice sopra ’u serio o m’annaca?», che sta per «mi dice sul serio o mi culla nell’illusione?» LBDD 12; “lu patri annacava a so figghiu […] Annacari, cullare da naca, culla; al plur. nachi]” G. Pitrè, Lu Re d’Anìmmulu, in Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, Palermo, Il Vespro, 1978, vol. I, p. 286 e n. 3; “Annacatelo, muccusi, fategli il cullaculla: vieni, sonno vieni a cavallo e non venire a piedi” S. D’Arrigo, Horcynus Orca, Milano, Mondadori, 1975, p. 206] SC 144; GM 21, 22; BP 32.