Cannella: non solo spezia per usi gastronomici
Cannella: non solo spezia per usi gastronomici
[parole chiave: ‘Amado, cannella/ colori e profumi’]
Può uno scrittore (uno scrittore di intenso sentire qual è Camilleri – e di vaste letture) scrivere la parola ‘cannella’ senza che il suo pensiero corra a Gabriella?
Ricordiamo, innanzi tutto, chi è la Gabriella in questione e quando ha iniziato ad affascinare i lettori di lingua portoghese e, poi, quelli italiani. Era il 1958, allorché Jorge Amado diede alle stampe un romanzo destinato al successo: Gabriela, cravo e canela che due anni dopo Jean-Paul Sartre avrebbe definito “miglior esempio di romanzo popolare” (citato in J. Amado, Romanzi, a cura di Paolo Collo, Milano, Mondadori, I Meridiani, 2002, vol. I, p. 1882). Nel 1962 il romanzo apparve in Italia, col titolo Gabriella, garofano e cannella, nella traduzione di Giovanni Passeri, per gli Editori Riuniti e poi, nel 1989 e 1991, presso Einaudi.
È stato così che gli italiani – e tra questi, con tutta probabilità, Andrea Camilleri – hanno potuto leggere il Ritornello della zona del cacao, posto in epigrafe al romanzo: “Profumo di garofano / colore di cannella, / io vengo da lontano / per vedere Gabriella” (Ivi, p. 575), per poi imbattersi in questo memorabile passo: “Entrò in punta dei piedi e la vide addormentata sulla poltrona con i lunghi capelli sparsi sulle spalle. […] Uno strappo della gonna scopriva un pezzo di coscia color cannella, i seni salivano e scendevano dolcemente al ritmo del sonno, il viso sorrideva. […] Da lei emanava profumo di garofano” (J. Amado, Gabriella, garofano e cannella, in Id., Romanzi, cit., pp. 771-772).
Amado apprezza la cannella per il colore che caratterizza, ai suoi occhi, le donne e gli uomini di sangue misto, veri interpreti del Brasile che lo scrittore amava; per il profumo, invece, chiama in causa il garofano. Vedremo che per Camilleri le cose si dispongono in maniera differente.
Ma, prima di arrivare a lui, e visto che la citazione di Sartre ha introdotto il concetto di “romanzo popolare”, sarà forse consentito fare un rapido cenno alla canzone “popolare” e, specificatamente, a un disco di Antoine (Pierre Antoine Muraccioli), apparso come singolo nel 1967 col titolo Cannella, nei cui versi la spezia che dà il nome alla donna cantata, come nel caso di Amado, è chiamata in causa per il colore della pelle: “La chiamerò Cannella / per il colore che ha. / La chiamerò Cannella / in privato e in società. La pelle di Cannella / impazzire mi fa”.
Veniamo ora a Camilleri, iniziando da Il birraio di Preston (1995) in cui la cannella si mescola allo zafferano in un composto afrodisiaco di rara potenza: “il delegato aveva trovato questa Agatina con la faccia gonfia ma gli occhi scuri e vivi che pareva addimannassero sempre qualcosa, le labbra rosso viola (odoravano di zafferano e cannella, pensò Parisi) tremolianti, le minne leggere e danzanti sotto il corpetto slacciato” BP 93.
Di questa tremoliante lusinga non c’è traccia in una successiva menzione dove la spezia ricompare, apparentemente con riferimento al suo impiego nella preparazione di liquori, in un brano, tratto dalla novella Il ritorno (1913) di Luigi Pirandello, citato nella Biografia del figlio cambiato (2000). Al drammaturgo, quindi, si deve l’atmosfera torbida data dal contesto: è vero, infatti, che di un innocente quanto “pallido rosolio” preparato dalle monache si tratta, ma è altrettanto vero che quel rosolio lo condividono due amanti: “S’imbeccavano, un boccone tu, un boccone io, le innocenti confezioni della badia, e dai bicchierini il pallido rosolio con l’essenza di cannella, un sorso tu, un sorso io. E ridevano” BFC 91.
Per sua (e nostra) fortuna Camilleri nelle opere successive gestirà, in proprio e senza la mediazione di altri autori, l’impiego (letterario) della squisita sostanza cui, per lo più, conferisce un valore aggiunto. Solo in Il cuoco dell’Alcyon, infatti la inserisce semplicemente in un elenco merceologico (“A mano manca, supra al terzo ripiano di ’na scaffalatura, ci stavano tutti l’aromi: pipi, chiova di garofano, cannella, origano, menta, timo e macari il sali e lo zuccaro” CAL 226): inclusione del tutto congrua, ma senza l’emozione delle fantastiche elucubrazioni implicite (implicite?) negli altri casi in cui la sostanza aromatica appare.
Vediamo alcuni di questi casi, ciascuno a suo modo intenso per ricchezza semantica.
Il primo compare in Il re di Girgenti (2001), dove si tratta del fantasioso corteggiamento messo in atto da Aneto Purpigno che non intende impossessarsi dei “feudi” legittimamente intestati a Gisuè, marito di Filònia, ma s’accontenta di sentirne il profumo, dietro compenso di un tarì. L’accorta Filònia valuta che la proposta non contraddica le regole matrimoniali, per cui con la mano destra agguanta il tarì e, contemporaneamente, solleva il braccio sinistro: “Don Aneto tuffò il naso dintra i pila dell’asceddra della fìmmina. Oh cannella! Oh spezia priziusa! Oh garofano! Oh girsumino d’Arabia!” RG 35.
Qui la cannella e il garofano, attributi indivisibili di Gabriella, tornano insieme per rendere omaggio, entrambi in qualità di profumo, alle grazie di Filònia.
Sempre in abbinamento, ma stavolta con la noce moscata, la cannella ritorna quale odore rimasto nella mano del piccolo Nenè, il protagonista della Pensione Eva (2006) che ha lungamente accarezzato il corpo di Angela: “Mentre che parlava, ogni tanto avvicinava la mano al naso e la sciaurava. “Si può sapere che cavolo fai con quella mano?” spiò Ciccio. “Me la sciàuro, conserva ancora l’oduri di Angela” PE 43; “Ogni tanto si portava la mano al naso. Po’, a picca a picca, l’aria salata del mare scancellò l’oduri di cannella e di noce moscata che era stato il profumo di Angela” PE 44.
Pochi anni dopo, siamo nel 2008 di Il campo del vasaio, è la volta di Dolores Alfano nata Gutierrez, sudamericana come Gabriella, dato che proviene dalla Colombia: e ci sembra sentirle parlare la lingua conturbante della Belén Rodriguez che l’ha interpretata nella serie televisiva del commissario Montalbano. Il quale Montalbano, vedendo la donna, ha un cortocircuito latinoamericano “pirchì la fìmmina assimigliava a ’n’attrici di pillicole messicane dell’anni cinquanta che aveva viduto in una retrospettiva” CV 129. Poi c’è il profumo: “Con lei, l’ufficio si inchì di un liggero sciauro di cannella. No, non era profumo, si disse il commissario, era la sò pelle che sciaurava accussì” CV 129. Dobbiamo dire, per rendere giustizia al sagace quanto intemerato tutore dell’ordine, che alla fine la farà arrestare, imputandola di omicidio in danno del marito: ma non potremmo in coscienza affermare che egli sia insensibile a quel profumo che sembra fondersi in pericolosa miscela con la pronuncia della donna: “Montalbano stava a sintirla affatato. Aviva una voci da letto, non era possibile definirla diversamenti. Lei capace che diciva sulo bongiorno e uno ’mmediatamenti pinsava a coperte arravugliate, cuscini caduti ’n terra, linzoli vagnati di un sudore che sciaurava di cannella. L’accento spagnolo che le viniva fora se parlava a longo, era come un condimento piccante” CV 130. Sembra – e, forse, conoscendo Montalbano in effetti è – una regressione, un ritorno all’età del piccolo Nené che, avendo accarezzato Angela, ne conserva l’odore nella mano: allo stesso modo, il commissario, cui Dolores ha stretto i polsi: “Si sciaurò le vrazza, sapivano a leggio a leggio di cannella” CV 134. Un profumo tanto forte e dagli effetti altrettanto penetranti che il commissario, tra le ipotesi investigative nell’indagine sulla scomparsa del marito di Dolores, arriva a supporre che volontariamente si sia sottratto a un tale sovraccarico olfattivo fuggendo tra le braccia di un opposto ideale femminino, alle volte non meno conturbante ma, tutto sommato, più tranquillo: “Macari ’na biunnissima vichinga, che sapiva d’acqua e sapuni, pirchì si era abbuttato di scura carni colombiana che sciaurava di cannella. E ora capace che veleggiava, filici e biato, nei fiordi del mari del Nord” CV 138. Come in ogni indagine che si rispetti, Montalbano non può escludere l’ipotesi.
Potremmo concludere, dunque, che per Camilleri la cannella non è una spezia destinata agli usi alimentari ma ad altri scopi, anche suggestionati da un passo del Campo del vasaio in cui Montalbano, nuovamente percependo quel fortissimo profumo che la donna diffonde, avverte l’impulso “di tirari fora la lingua e di liccarla tanticchia lungo il collo per sintirinni la pelli che sicuramente era ’nzuccarata” CV 147. Certo è che, trattando di letteratura (prima che di questioni un tantino scabrose), occorre essere cauti perché la fantasia del romanziere, forse pure ispirata dalle pagine di Amado, ma certamente capace di sviluppare autonomamente il tema, ha ancora una freccia al suo arco e la scocca nell’ultimo tempo della scrittura – siamo nel 2018, anno di pubblicazione di Il metodo Catalanotti –, quando lo scrittore si diverte a dare un’ultima, perfida pennellata al ritratto di Montalbano che perdutamente, e senilmente, s’innamora. In questa situazione, uno dei punti alti del corteggiamento è rappresentato dalla possibilità di condividere con Antonia un timballo di maccheroni fatto da Adelina con tanta maestria che l’unico termine di confronto possibile è rappresentato dalla pietanza descritta nel Gattopardo: “un timballo da principi! E quanno Montalbano, mittennolo supra a un vassoio con allato dù piatti, dù forchette, dù bicchieri e ’na buttiglia di vino, portò tutto in verandina, Antonia nni ristò affatata. Nisciuno dei dù aviva il coraggio di rompiri la crosta di pasta frolla, ma quanno Montalbano, cavaleri senza macchia e senza paura, s’addicidì a farlo, vinni fora ’n aroma di zuccaro e cannella da fari firriari la testa, e ’na vota rapruto attrovaro il di dintra chino di ogni ben di Dio” MCAT 249.
Si è dovuta combinare con lo zucchero, la cannella, questa volta propriamente in funzione aromatica: ma, ormai lo sappiamo, i profumi, per il nostro romanziere, non si legano unicamente agli appetiti gastronomici (g.m. maggio 2021).