Giammarita
Giammarita
[parole chiave: ‘giammarita; ciaramita; coccio; ciottolo’]
Nella Piccola enciclopedia di giochi per l’infanzia (Edizioni Henry Beyle, 2020), Camilleri ricorda una parola legata a un gioco della sua infanzia: giammarita. E spiega: “Non la trovo registrata nel Mortillaro; nel Traina invece si rimanda a ciamarita, canali (tegola) e maruni. Senonché il rimando non è rispettato, la voce ciamarita manca, di canali si dà la definizione di tegola o alveo per lo scorrimento delle acque, mentre maruni rimanda a sua volta a maduni, cioè mattone. Procedo senza soccorso, tento una definizione. La giammarita, dalle mie parti, era (non so se ancora è) ciottolo levigato dal mare o dal fiume, di forma circolare, schiacciata. Impugnata tra pollice e indice ricurvi, veniva scagliata con forza sul mare quand’esso era di calma piatta, in modo che la giammarita più volte rimbalzasse sulla superficie senza sprofondare in acqua. Vinceva chi riusciva a far fare più balzi alla propria giammarita. Ogni giocatore ne doveva aver buona riserva, perché naturalmente ogni lancio costava la perdita della giammarita adoperata” PEGI 31-32.
Effettivamente il Nuovo Vocabolario Siciliano-Italiano di Antonino Traina da giammarita rimanda a ciamarita, non lemmatizzato; è tuttavia presente “Ciaramita s. f. Pezzo di vaso di terra cotta rotto: coccio, rovinacci”. Quanto al Nuovo Dizionario Siciliano-Italiano del Mortillaro, occorre precisare che non contempla il lemma ‘giammarita’; ma vi compare “Ciaramita, s. f. pezzo di vaso rotto di terra cotta. Coccio”.
Ciaramita anche per il Pitrè che spiega: “tegolo”, e precisa: “in Giuliana giammarita, altrove giaramita” (G. Pitrè, Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, Palermo, Il Vespro, 1978, vol. IV, p. 317). Allo stesso modo il Rohlfs che lemmatizza ciaramita e aggiunge le forme: ciaramira, cialamida “tegolo”; ciaramiti, ciamariti, ciaramiri, ciarambilli, giaramini, giammariti “pl. cocci di vaso o di tegolo” (G. Rohlfs, Supplemento ai vocabolari siciliani, München, 1977). Il Piccitto, alla voce ggiammarita spiega “coccio, frammento di un oggetto di terracotta […] tegola […] mattone di terracotta” e rimanda a ciaramita. Da qui, per un successivo rimando, si arriva a ciaramira: “f. tegola. 2. spec. al pl. coccio, rottame di tegola o di altro oggetto di terracotta” (Piccitto). Il Vocabolario Storico-Etimologico Siciliano (VSES) di Alberto Varvaro, a sua volta, attesta ciaramíta “s. f. ‘coppo ricurvo, tegola’”; e di seguito indica altre forme: tra queste, giammaríta.
La descrizione del gioco fatta da Camilleri è precisa, e chiunque sia stato bambino in un luogo di mare, può averne fatto esperienza, nelle giornate prive di onde e a condizione di saper trovare il ciottolo adatto: piatto, il più possibile leggero e tale da inserirsi agevolmente nella concavità formata, come lo scrittore spiega, da pollice e indice ricurvi. Il resto è abilità del lanciatore: indispensabili forza e precisione di lancio, per consentire al ciottolo di rimbalzare numerose volte, schivando il rischio di affondare all’impatto con l’acqua.
Stefano Salis, nel Destino di uno scrittore, nota alla Piccola enciclopedia dei giochi per l’infanzia, afferma che Camilleri “resuscita vocaboli a nuova vita” ed esemplifica proprio con giammarita, “il ciottolo piatto usato per far rimbalzi sull’acqua, che Camilleri stesso dichiara assente nelle sue ricerche bibliografiche, ma introduce, e senza paura, in un racconto” PEGI 77-78.
Il racconto al quale Salis si riferisce è La prima indagine di Montalbano, dove leggiamo: “E soprattutto gli piaceva taliare i letti di quelli che una volta erano stati fiumi e torrenti, almeno accussì si ostinavano a chiamarli i cartelli stratali, Ipsas, Salsetto, Kokalos, mentre adesso non erano altro che una fila di pietre bianche calcinate, di giammarite ’mpruvolazzate” PIM 101.
C’è da aggiungere che alla giammarita è legato un ricordo personale, per diversi aspetti doloroso: “Durante una di queste battaglie a pietrate di cui ho parlato [avvenivano, per gioco, tra studenti che marinavano la scuola], un ragazzo – si chiamava Mimmo Gerbino, non lo dimenticherò mai più –, fromboliere eccezionale, e mio avversario, proprio con la frombola, quella che gira col sasso dentro, mi colpì all’occhio destro. La pietra era molto grande, una giammarita di quelle piatte. La giammarita è la pietra levigata da fiume, quella liscia, quella che quando la lanci nell’acqua, sapendola tirare, rimbalza. Fortunatamente questa giammarita era più grande del cavo del mio occhio. Ma arrivò con una violenza tale che mi fece svenire. Cominciò un dolore fortissimo. Mi portarono dall’oculista che mi tenne quindici giorni con l’occhio bendato, poi avvertii la lesione alla retina. E naturalmente la vista ne risentì. Il trauma causò una miopia progressiva e rapida che poi contagiò per simpatia anche l’altro occhio. Quindi io non sono nato miope, lo sono diventato. E prima di quell’episodio sfortunato, avevo sempre avuto una vista splendida” LP 80; “Liggivamu a lume di candela, o con la pila. E gli occhi me li sono rovinati anche per questo, a parte il buon lavoro che fece la giammarita lanciata dal fromboliere Mimmo Gerbino…” LP 94 (m.e.r. & g.m. novembre 2020).